Una mia lettera pubblicata sul blog di Erri De Luca. Emozione.

Una voce.
Grazie ad Emanuela D.S.

Caro signor De Luca,
le scrivo per sostenerla riguardo i fatti della denuncia a suo carico. Ho finito da poco di leggere “La parola contraria”.
Ho 34 anni, una laurea in Storia del Cinema e una in Lettere. Scrivo per qualche giornale, disegno, dove ogni tanto mi dicono di non andarci pesante con vignette e nomi precisi.
Penso che non esista più la libertà di parola, di giudizio. I poveracci non contano niente, meno ancora gli intellettuali, i giovani (tutti choosy a detta loro); quelli che hanno studiato vengono derisi da zoticoni con le cravatte che stanno decidendo per tutti.
Mi sento non contare niente in questa mia società, inutili sono state le manifestazioni, le ‘processioni’ davanti l’università, schiacciati dalle tasse e dai lavoretti universitari, dalla disoccupazione ora.
Mi sento non contare nulla se si mettono a denunciare una persona che stimo perché vuole salvaguardare una terra e i suoi lavoratori, perché vuole dire la verità e lo vogliono azzittire.
So che il suo coraggio non sarà meno delle rocce con cui ha a che fare, con le altezze che sfida sulle montagne; coraggioso e fiero come il camoscio del suo libro.
Sono con lei in questa triste occasione sperando per il meglio. Sono con lei perché l’ingiustizia mi fa ribollire dentro il sangue e l’orgoglio.
Sono con lei perché anche se non conto niente, faccio numero e la mia parola viaggia in internet importante o no che sia.
Con stima,
Emanuela D.S.

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La parola contraria.

La parola contraria.

La parola contraria è il titolo dell’ultimo libro di Erri De Luca; più che un libro un libricino con un piccolo prezzo, “utile allo spargimento” come scrive lo stesso scrittore nel suo blog. Più che un libricino, una parola contraria, una sola, capace di aver smosso un’intera ditta francese (la LTF, costruttrice della linea Tav Torino-Lyon) che ha denunciato lo scrittore ‘colpevole’ di aver istigato un’azione di sabotaggio contro i cantieri in Val di Susa.

Per essere più precisi, l’accusa prende di mira delle interviste che De Luca rilasciò al sito web Huffington Post – gruppo Espresso, dove dichiarava: ” […]…la Tav va sabotata. Ecco perché le cesoie servivano: sono utili a tagliare le reti. Nessun terrorismo…sono necessari per far comprendere che la Tav è un’opera nociva e inutile…hanno fallito i tavoli del governo, hanno fallito le mediazioni: il sabotaggio è l’unica alternativa…”.

Istigazione‘ è un’altra parola chiave su cui si basa l’accusa su Erri e rimango colpita da come le parole di uno scrittore vengano prese così in considerazione di questi tempi. Per colpa di una frase avviene una denuncia, le parole funzionano dunque. Gli viene riconosciuto come scrittore un ruolo ben più importante che quello di scribacchino, gli viene riconosciuta la potenzialità di gestire una parola che funziona sugli altri e che ha come conseguenza l’azione, che viene dopo l’istigazione. De Luca cita alcuni esempi di istigazioni famose: Pasolini, Salman Rushdie, Goethe, l’inno della Marsigliese perfino, e i Lampedusani che con le leggi del mare opposte a quelle dello Stato hanno osato offrire acqua, cibo, aiuti a quelle anime del mare.

Ma veniamo al perché del gesto anarchico e di sabotaggio. Perché vogliono sabotare questa linea che gioverebbe allo scambio commerciale nel nostro paese? La risposta è semplice: i lavori causerebbero uno spargimento tale di fibre di amianto e fibre tossiche nocive quindi sia per chi lavorerebbe al cantiere che per tutta la popolazione circostante e per l’ecologia. De Luca parla di ” stupro del territorio”, catastrofe ambientale. Ci basta per opporci ai lavori di questa linea?

Altri punti oscuri della vicenda su cui si riflette nel libricino: se l’incriminazione è quella di sabotare un’opera strategica per lo Stato, perché a costituirsi parte civile contro De Luca è questa ditta privata LTF sas? Altro caso vuole che in Francia non esistano le normative antimafia per gli appalti e che in patria francese la necessità di quest’opera non sia sentita dai cittadini.

Il titolo del libro viene dal fatto che l’incriminazione viene fatta non su una parola qualunque, ma su una parola contraria.

Chi lavora nei giornali sa benissimo quanto sia difficile e pericoloso fare delle vere inchieste, a volte solo perfino fare dei riferimenti. Se questo è impossibile o un crimine mi chiedo allora a cosa serva il giornalismo o la scrittura in generale a meno che non si lavori come un dipendente che soddisfa le esigenze imposte dall’azienda, (mi sento un’istigatrice a dire questo!). In questo caso verrebbe meno la ricerca della verità e…dell’onestà.

Mai più di ora sappiamo quanto sia importante cambiare le cose, che partono dallo svegliarsi da quell’intorpidimento intellettuale nel quale siamo intrappolati. Drogati, confusi, assuefatti, illusi che siamo un po’ più liberi di un tempo. È così? Siamo vittime di un fascismo democratico come scrive Pedro Garcia Olivo in L’enigma della docilità. O della servitù in democrazia”? Siamo consapevoli dei nostri diritti politici, civili e morali, della nostra libertà di individui costretta nei nostri ruoli o vediamo chi manifesta in Turchia, Grecia, Tunisia come atti inconprensibili, col cervello ovattato dalla stanchezza di giudizio, dall’incapacità di critica, di voglia di reagire?

Istigare azioni sconvenienti in questo caso è un’azione perseguibile contro cosa? Anche questo punto è davvero poco chiaro perché se il fine è di sabotare qualcosa che avrebbe messo in pericolo degli uomini e il paesaggio circostante, quale sarebbe la colpa in questione? Qual è il male perseguibile? Nel caso invece stessero perseguendo un atto istigatorio a fin di bene, contro quale grande male si sta scagliando Erri De Luca? La domanda è spontanea e confusa perché inconcepibile la sua accusa. Contro chi è questa parola? Stiamo parlando di una denuncia che accusa una parola contraria ad un’altra senza una causa materiale susseguente, senza un misfatto.

La parola ‘giusta’ di De Luca risulta quindi essere contro l’ingiusto: la distruzione della Val di Susa e i suoi abitanti. È la parola contro un totalitarismo del potere, di un’economia che distrugge, uccide pur di costruire a proprio piacimento. E perché lo Stato italiano è a favore di ciò? Com’è possibile che abbia una parola contraria a quella della ‘salvaguardia‘?

A volte certi scrittori con una sola parola risolvono il rebus dei tempi in cui vivono. Non sempre il male è visibile. Non sempre sappiamo contro cui batterci fino alla fine. Erri De Luca ha trovato l’origine del male dei nostri tempi e la sua parola contraria ha fatto rizzare i capelli in testa alla ditta francese.

Credo fermamente che le generazioni successive abbatteranno per sempre questo tipo di Male in cui viviamo: il totalitarismo delle imprese a costo della vita degli uomini che ci lavorano, a costo della natura. Spargimento di sangue di uomini e violenza al territorio senza coscienza nè rimorso, perché il totalitarismo del liberismo, del capitalismo, dell’impresa abbatte ogni regola e ogni etica. La parola contraria di Erri De Luca ha scosso ogni albero vivo dalla sua vulnerabilità e dal suo non-valore, ogni uomo dall’inconsapevolezza dei suoi diritti a vivere e lavorare in un posto che minaccia la sua salute.

Se questa è la parola contraria che merita un processo, io mi unisco a questo scrittore, alla sua causa che è la causa di tutti noi messi insieme.

L’iniziativa “iostoconerri” ha segnalato il sostegno e l’impegno di alcune persone che non accettano questa incriminazione evidentemente ingiusta.

Vi segnalo il link: http://iostoconerri.net/

emanueladesiati.wordpress.com

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Je suis Charlie. Parigi 2015.

Mai come oggi abbiamo l’ennesima prova che l’unico metodo per combattere la violenza è la comunicazione; che comunicare la verità è più pericoloso ed efficace che piazzare bombe dove ci pare, che la verità va detta comunque, e non va fermata, nonostante il metodo del terrore, e che un giornalista che scrive qualcosa di scomodo e un militare con un fucile in mano hanno in comune la stessa quantità di adrenalina e di coraggio e anche di paura.

L’attentato alla redazione di Charlie Hebdo apre un’altra pagina di storia e una nuova presa di coscienza come popolo europeo, lo stesso Matteo Renzi parla nel suo discorso d’ identità nazionale. Certo, riconoscersi come identità culturale è importante, ma questo non vale per tutti? Anche per i musulmani? Non vale per gli italiani meridionali che perdono la propria identità emigrando al nord italia fino al Belgio, in Germania e via dicendo?

Charlie Hebdo è una redazione quasi sconosciuta per tutti, fa satira e i vignettisti usano più che il sarcasmo. Si tratta di uno sbeffeggiamento continuo verso tutte le istituzioni e i politici (Hollande compreso), si tratta di ridurre a pezzi qualunque cosa, religione o persona. Sono convinta che il diritto d’opinione sia sacro, forse anche il non rispetto di una religione in questo caso; lo facevano anche nei confronti del Cristianesimo, ma se la satira è un’azione che difende i più deboli contro i più forti e i prepotenti ben venga. Da dove viene tutta questa rabbia e quest’odio, questa guerra tra ìmpari?

Mi domando pure perché ci debbano essere poveri e ricchi in una società civile, poveri nelle banlieaux e ricchi nel cuore di Parigi. Mi domando che vita debba fare un immigrato algerino in Francia, mi domando perché è stato costretto a essere strappato dalla propria terra e dal proprio cielo. Mi domando cos’è l’ISIS e leggo le parole di Hafez, rifugiato politico in Svezia: “Piove. Come sempre. Malmo è così: a volte sembra che ti piova anche dentro. Non riesco proprio ad abituarmi. Però va bene, perché non si nasce tagliati per l’esilio. Un senso di disagio permanente, in fondo, ti ricorda la tua storia”.

Anch’io ho disegnato una matita sulla mia bacheca di Facebook il giorno dell’attentato. Poi, quando ho capito che quelle matite assumevano altri contorni e valori politici, ho smesso di postarle. La matita per me ha valore di espressione, di libertà di pensiero, ma non ha un valore cristiano né di crociata verso un popolo o una religione che non deve chiedere scusa a nessuno come qualcuno ha preteso che facesse la comunità musulmana (solo un miliardo di musulmani!).

Guardo un’intervista fatta a Gipi, un famoso fumettista italiano; mi è piaciuto molto. D’accordo con con l’anarchia dei fumettisti francesi assassinati, d’accordo sulle loro non appartenenze politiche allo stato francese. (Quindi che valore ha farli eroi nazionali?). Una cosa però non condivido: la religione non è una credenza per sciocchini, risalente all’età della pietra come lui ha lasciato intendere. È grazie ad essa che l’uomo si è evoluto ed ha plasmato la sua coscienza distinguendo il bene dal male, sapendo dare un valore all’istinto, anche a scapito del suo benessere, ma in vista di qualcosa di più grande. Chi ammazza qualcuno in nome della religione, non ha né compassione, né coscienza, quindi non è affatto un religioso. Tempo fa ci sono state le sentinelle in piedi, anche in Francia…beh, io le associo ai fondamentalisti di qualsiasi religione, ai totalitaristi di qualunque religione essi siano.

Finisco questa pagina con le parole di Samir Kassir, giornalista e scrittore libanese, ucciso da un’autobomba a Beirut nel 2005. Il suo libro L’infelicità araba, edito in Italia da Einaudi, è il manifesto di una generazione a cui manca l’aria.

L’infelicità araba ha questo di particolare: la provano quelli che altrove parrebbero risparmiati, e ha a che fare, più che con i dati, con le percezioni e con i sentimenti. A iniziare dalla sensazione, molto diffusa e profondamente radicata, che il futuro è una strada costruita da qualcun altro”.

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Cattiverie di Facebook

Il fatto è che oggi quello che fa ridere le persone è il cinismo. Cattiveria per il dolore altrui. Non si ride mai di cose belle per se stessi e per gli altri. Puoi ridere delle cose buffe ma è diverso che fare i bulli con il proprio compagno di classe. Puoi essere sarcastica ma non essere cinica. Evidentemente le persone non sanno nemmeno perché ridono, ma ridono. La reazione di questo post sarà di sicuro darmi della buonista e anche lì non ci siamo proprio. Perché il buonismo è non distinguere il vero bene da quello che non conta niente, mentre il mio è un tentativo di essere un essere pensante, che ride di gusto solo quando anche la mia anima sta bene.

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La comodità di Whatsapp.

Whatsapp

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Extracomunitari.

Ci sono extracomunitari ed extracomunitari…..

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Le linee del pensiero.

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Per fare prima.

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Au Revoir…anzi Adieu Simone.

ImmagineSono appena tornata da un concerto. Puzzo di fumo, mi tocca lavare capelli e vestiti, che palle.

Au Revoir Simone è un trio di Brooklyn divenuto famoso per la musica prestata al famoso Greys’ Anatomy; arrivo al concerto di corsa con il desiderio di evadere completamente e dimenticare una giornata abbastanza stressante. Inizia la musica, inizia il fumo. Nubi grigiastre aleggiano sopra la testa degli uditori; una ragazza affianco a me inizia a rullare la sua sigaretta, l’accende e …me la fumo anch’io! Sì, perché devo sorbirmi le sue ‘fumacchiate’ tutto il tempo; inoltre, dimenandosi, rischia di bucarmi la camicia verde appena acquistata, (la camicia dell’estate, per intenderci). L’ignara non lo sa, ma sta rischiando la vita.

 

Ad un certo punto, una delle tre cantanti fa una richiesta al microfono: chiede gentilmente al pubblico di non fumare, perché sta male e non riesce a cantare. (Mi dico: “ Le vere star hanno l’allergia come me…”). Dopo anni di prese in giro perché il naso mi cola in mezzo al fumo, dopo anni di disagio esistenziale perché non riesco a domare i miei starnuti alla presenza di venti sigarette, (mentre gli altri utilizzano questo mezzo per abbordare e fare amicizia come fosse l’unico e il solo!), ecco, io penso che doveva arrivare una da Brooklyn a dirci di spegnere queste fastidiosissime sigarette senza smettere di credersi una star…

 

La cosa triste è stata però vedere la gente impassibile alla richiesta. Le nubi di catrame continuavano ad avviluppare le persone in una puzza insopportabile, persone che si lamentavano della strana richiesta della cantante e che si arrogavano infastiditi il diritto di fumare perché ci si trovava all’aperto (anche se tutti appiccicati l’uno all’altro) e come ho sentito dire ad un giovanissimo dalla sensibilità spiccata: “ Se ti dà fastidio non venire ai concerti”.

 

Questa frase mi ha fatto riflettere su quel che già so per certo: non siamo un popolo gentile, un popolo abituato alla cortesia. Siamo gente che si adatta alla massa e fa quello che decide la maggioranza; non siamo così civili da proteggere le minoranze e avere rispetto per chi ci è accanto. Ti fa male il fumo? Semplice: non venire ai concerti, perché la maggior parte fuma e io devo fumare. Il diritto deriva in modo naturale e animalesco da un comportamento della maggioranza. Un modo di ragionare che non ho mai concepito, che pone il rispetto come la vincita del più forte.

 

Quindi, da questa logica spicciola se ne deduce che sono escluse tutte le minoranze, come sempre. Sei disabile? Qui non c’è modo di farti vedere il concerto perché la maggior parte di noi non è disabile! Stai a casa!

 

Sei ipovedente? Beh, la maggior parte di noi ci vede quindi ascolta i pochi film che ti passa il convento.

 

Così via alla lista di cose che una persona in una data situazione può subire se si trovasse in una condizione di minoranza; ma questo paese funziona ancora così: vince la legge del più arrogante e in quei momenti mi vergogno di essere italiana, provo una profonda frustrazione per non potermi vantare di grandi doti di civiltà e leggi giuste, che proteggono tutti, ma proprio tutti. Provo sconforto nel constatare l’assenza di cortesia, gentilezza soprattutto tra sconosciuti; perché non è specialmente da questo che si misura il grado di civiltà di un paese?

 

La cantante newyorchese ha cantato con un’espressione di risentimento e frustrazione, il naso le colava e io pensavo che certi modi di fare del tutto italiani mi fanno sentire spesso una straniera.

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